La selva del Lamone

 

 

Aree di interesse

 

Il leggendario bandito Domenico Tiburzi era detto il "re del Lamone"; nonostante avesse sparso sangue e terrore ovunque era amato e rispettato dal popolo, che lo considerava un vendicatore dei torti dei più poveri. Diventò uno dei banditi più popolari d'Italia, meritandosi l'appellativo del "il nostro". Fu ucciso il 26 ottobre del 1896 in un conflitto a fuoco con i carabinieri; si racconta che sia stato lui stesso a togliersi la vita, prima di cadere nelle mani della giustizia. Due giorni dopo una grande folla si riunì all'ingresso del piccolo cimitero di Capalbio, obbligando il recalcitrante parroco a seppellire Tiburzi per metà nel cimitero e per metà fuori; oggi il bandito riposa interamente in terreno consacrato

Un impenetrabile bosco rifugio di un re bandito

Si estende per quasi 2.300 ettari dal cratere del Lago di Mezzano verso il mare; il lago, nel quale sono state rinvenute tracce di villaggi palafittici, potrebbe essere l'antico Lacus statoniensis descritto da Plino e Seneca. La natura vulcanica del suolo è testimoniata dalla presenza di centinaia di collinette (le "murce") formate da grossi blocchi accatastati, spesso ricoperti da edera e muschio; questi massi basaltici si depositarono tra 170mila e 55mila anni fa, nell'ultima fase di attività del vulcano di Latera. Il bosco di querce è il più diffuso, ma ci sono anche il faggio, il leccio, l'acero. Il cuore della Selva è la grande radura del "Campo della Villa" dove, ogni maggio, si svolge la "Festa della Primavera" (Legambiente di Farnese). Nella selva è facile imbattersi nel capriolo, nel cinghiale, e nelle tracce dei piccoli mammiferi (tasso, volpe, istrice). Si trovano segni di insediamenti antichi e mura di fortilizi dell'età del Bronzo, poco visibili ad occhi non alienati.

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Il Voltone