Raffaello Sanzio (Urbino 6 aprile 1483 - Roma 6 aprile 1520). Figlio di Giovanni Santi, un corretto ma modesto pittore di tradizione melozzesca, ma più che dal padre, mortogli quando aveva appena undici anni, R. dové apprendere i primi elementi dell'arte da Timoteo della Vite, un pittore tornato nel 1495 nella nativa Urbino da Bologna, dove si era formato sotto gli insegnamenti del Francia e del Costa. Già prima del 1499 era a Perugia, nella bottega del Perugino, ma per quanto l'arte del Vannucci, come quella del Pinturicchio, avesse certamente contribuito alla formazione di Raffaello ancor prima che questi si allontanasse da Urbino, pure la posizione del giovanissimo allievo nei confronti del maestro non dovette quasi mai essere di reale dipendenza. Ce lo dice il fatto che sin dal 1500, allorquando gli venne commissionata la tavola (poi distrutta) con la Incoronazione di S. Niccolò da Tolentino per la chiesa di S. Agostino a Città di Castello, a Raffaello veniva attribuito il titolo di maestro, nonostante la sua giovanissima età. Ce lo suggerisce la inconfondibile originalità di un gruppo di opere, non tutte di sicura datazione, ma certo eseguite quando il precocissimo artista non aveva ancora vent'anni o li aveva superati da poco. Fino ad una decina di anni or sono, prime gemme dell'arte giovanile di Raffaello erano considerate tre minuscole tavolette ( Sogno del Cavaliere , Londra; Madonna del Libro , Leningrado; Tre grazie , Chantilly), alle quali veniva affiancato il dittico con S. Giorgio e S. Michele del Louvre. Oggi, si tende a spostare la esecuzione di questo gruppo di opere al 1505 circa, riconoscendo in loro un definitivo distacco dai modi del Perugino, un modellato fluidamente largo, ampio respiro di composizione e poetica sensibilità nell'unione tra figure e paesaggio. Dopo le primissime opere dell'adolescenza (stendardo con Madonna della Misericordia e Crocefissione , Città di Castello; affresco raffigurante la Madonna col Bambino , Urbino; Resurrezione , S. Paolo del Brasile), la prodigiosa precocità di Raffaello resta comprovata da tre opere che sono, specie la terza, tra le più alte del maestro; l' Incoronazione della Vergine , nella Pinacoteca Vaticana (iter 9), del 1503, la contemporanea Crocefissione Mond (Londra) e lo Sposalizio della Vergine (Brera), del 1504. Nell' Incoronazione della Vergine lo schema compositivo, il movimento delle figure, i volti e i panneggi corrispondono a quelli del Perugino, eppure già in essa, come pure nella Crocefissione , è possibile avvertire l'adozione di più vaste partiture di piani, che svincolano il modellato dall'insistente chiaroscuro alla lucidissima sistemazione spaziale dello Sposalizio della Vergine , solo apparentemente ispirato all'affresco del Vannucci, ma è la stessa luminosità chiara e splendente del tessuto cromatico, così vivido in Raffaello, a rivelare quanto l'arte di lui superasse quella del pittore umbro. Solo Piero della Francesca, se mai, aveva potuto suggerire a R. il senso di una composizione spaziale così ricca di respiro, una capacità così rinascimentale di comporre in armonioso accordo la nobiltà monumentale dell'immenso tempio del fondo con l'altissima spiritualità delle figure di primo piano mediante la fuga prospettica delle lastre del piazzale. Con quest'opera, la capacità di Raffaello di interpretare gli ideali rinascimentali di una classica armonia è già pienamente attuata, e non stupisce quindi come egli si sentisse ormai pronto a maturare la sua sensibilità a contatto con esperienze più ricche di quelle che gli potevano essere offerte dalla provincia marchigiana ed umbra, nella quale fino ad allora era vissuto. A Firenze egli si recò una prima volta nell'autunno 1504, ma vi si stabilì definitivamente solo all'inizio del 1506, per rimanervi fino al 1508. L'ambiente fiorentino era allora dominato dalle personalità sovrane di Leonardo e di Michelangelo, che proprio nell'autunno del 1504 stavano lavorando ai cartoni per la Battaglia di Anghiari e per la battaglia di Cascina : Leonardo gli avrebbe dovuto insegnare a servirsi dello sfumato per cogliere gli esseri viventi nella loro organicità e a sentirli come cose vive, intorno a cui circola l'aria; da Michelangelo avrebbe appreso forza costruttiva, espressiva e drammatica capacità di movimento, modi nuovi per far rivivere l'antico. né qui si esauriva la costellazione pittorica fiorentina: per un giovane poco più che ventenne, l'impulso a perfezionarsi nella Firenze del primo Cinquecento doveva promanare anche dagli esempi, sia pure in larga misura meno validi, di Piero di Cosimo, di Lorenzo di Credi, di fra' Bartolommeo, anche a voler supporre che R. tralasciasse di guardare più addietro nella cultura locale, fino a Masaccio. Il rischio di soggiacere a personalità così eccezionali e ad un ambiente così ricco e composito, era grande, ma Raffaello lo seppe superare accogliendo con misura e discrezione elementi fiorentini nel suo stile e tutti subordinandoli al medesimo ideale di bellezza cui si era ispirato durante il periodo peruginesco. In tutte le opere del periodo fiorentino, è percepibile come R. si accostasse ora all'uno ora all'altro di questi maestri, accogliendo lo sfumato di Leonardo o il plasticismo di Michelangelo o le forme costruttive di fra' Bartolommeo, ma queste assimilazioni rimangono circoscritte al campo della tecnica, tutte dominate da una portentosa capacità di disciplinare impressioni che per altre personalità meno dotate avrebbero potuto essere travolgenti. Si osservi la Deposizione (1504-1507, olio su tavola, cm. 180 x 186; a Roma, Gall.Borghese (iter 7): le reminiscenze classiche ed anche michelangiolesche sono chiare; ma la euritmica, bilanciata composizione, nella sua misura, se dimostra la scarsa inclinazione del maestro per i soggetti drammatici, attesta anche una lucidità intellettuale che consente di dare unità a due temi, il Seppellimento di cristo e lo Svenimento di Maria, elaborati separatamente. O si osservi come sia lento, progressivo e intelligente l'accostamento agli esempi fiorentini in un altro gruppo di opere, quali la pala Colonna (New York), la pala Ansidei (Londra) e la Madonna Northbrook (Londra). Una sintesi altissima di modi leonardeschi, avvertibili soprattutto nella struttura verticale della composizione e nelle ombre che lambiscono il modellato, è certo percepibile nel Ritratto di ignota detta la Muta (Urbino) e nella Madonna del Granduca (Firenze, Pitti); esempi di composizione piramidale, più vicina a fra' Bartolommeo, sono la Madonna del Belvedere (Vienna, Kunsthist. Mus.), la Madonna del Cardellino (Uffizi), la Bella giardiniera (Louvre), ed altre opere ancora, per tacere di una nutrita schiera di disegni. Ma il fatto è che il Sanzio conserva sempre una fedeltà a se stesso, sia che esalti la maestà della Vergine non ricorrendo alla tradizionale elevazione su un trono, ma motivandola con la stessa perfezione dei lineamenti, sia che ne ambienti la tenera e pensosa umanità in un ameno e luminoso paesaggio. Persino quando, nella incompiuta Madonna del Baldacchino (Firenze, Pitti), il gruppo della Vergine con il Bambino è innalzato all'altezza di un trono imponente, la grandiosità dell'abside bramantesca che conclude la scena e l'acuta individuazione di ciascuno dei Santi che circondano il trono riflettono una ricerca di monumentalità che segna l'immediato presupposto dell'operosità di Raffaello successiva al suo trasferimento a Roma (1511). Né possono essere trascurati gli altri capolavori eseguiti a Firenze in quegli anni, quali la Madonna degli Orléans (Chantilly), la S. Caterina (Londra), la Madonna Esterháy (Budapest), la Madonna Canigiani (Monaco), i ritratti dei coniugi Doni (Pitti) e la Gravida (Pitti). Proprio questo ritratto di una opulenta borghese fiorentina, rappresentata con i segni vistosi di una maternità avanzata, bene attesta quanto l'arte di Raffaello fosse sempre volta a nobilitare qualsiasi soggetto; che il taglio del quadro derivi dalla Gioconda di Leonardo, diventa fatto secondario rispetto al carattere dignitoso ed umano, schietto fino al tono popolare, che l'artista sa imprimere a questa immagine; e basta il gesto della mano sinistra posata con dolcezza sul grembo a sottolineare quel non so che di sacro che sempre porta con sé la maternità di una donna. A Roma Raffaello giunse nel 1508 , chiamatovi da Giulio II che gli affidò il compito di affrescare il nuovo appartamento che il pontefice si era scelto in Vaticano . L'appartamento consisteva in tre sale. Nel 1511 R. condusse a termine la decorazione della prima stanza (detta della Segnatura perché vi venivano firmati i Brevi pontifici), rappresentando sulle quattro pareti la Disputa del Sacramento , il Parnaso , la Scuola di Atene e Tre Virtù ; nel soffitto rappresentò le allegorie della Teologia, rispettando alcune parti incominciate dal Sodoma e dal Bramantino : Filosofia-Astronomia , Giustizia e Poesia . Con questa impresa il patrimonio culturale dell'umanità era arricchito di uno dei suoi monumenti più alti, e non soltanto per la nobiltà del concetto dottrinario adombrato dalle allegorie della volta e confermato dalle quattro scene parietali, quanto per la suprema qualità pittorica della Disputa e della Scuola di Atene . La stanza è infatti trionfale celebrazione delle tre idee basilari nello spirito umano, secondo la dottrina neoplatonica: del Vero, attuato col duplice concorso della Fede ( Disputa del Sacramento ) e della Scienza ( Scuola di Atene ); del Bene, raggiunto attraverso l'esercizio della Giustizia (Giustizia; Virtù Cardinali e Teologali); e del Bello, realizzato dalla creazione poetica (Parnaso). Anche più alta, si è detto, la qualità degli affreschi: la maestosa polifonia della Disputa , in specie, con il coro degli Apostoli intorno alla Trinità nell'alto dei cieli e la Chiesa militante, sulla Terra, che adora Dio nel miracolo dell'Eucaristia, per il cadenzato rigore che vi determina lo spazio, l'eroica intensità del concetto ed il lirico distribuirsi della luce, si pone tra le massime testimonianze del genio artistico di tutti i tempi. Forse appena inferiore è la Scuola di Atene , là dove i dotti ed i filosofi dell'antichità sono chiamati a testimoniare la validità del pensiero classico, in quanto si era sforzato di raggiungere il vero mediante l'esercizio della filosofia e della scienza. Sfondo della composizione sono le volte maestose di un tempio, di bramantesca grandezza; al centro, contro lo sfondo luminoso del cielo, si dispongono imponenti, erette, le figure di Platone e di Aristotele , quegli con il dito teso verso l'alto a ricordare il mondo iperuranio delle idee, questi con la mano protesa in avanti ad ammonire sulla terrena problematicità della morale umana. Tutto intorno si dispongono con libera varietà i maestri del mondo antico ( Diogene, Euclide, Eraclito, Epicuro, Pitagora, Tolomeo) e, accanto a loro, alcuni tra i sommi contemporanei ( Bramante, Michelangelo, Leonardo, il Bembo, Raffaello stesso), con una acutissima interpretazione di quel mito del rinnovo che è alle fondamenta di tutto il pensiero del Rinascimento. Dopo aver dipinto, nel salone della Farnesina (iter 5), la Galatea , tra il 1512 e il 1514 Raffaello attese alla decorazione della seconda Stanza, quella di Eliodoro, mirante ad esaltare con allusivi riferimenti biblici e storici ( Cacciata di Eliodoro; Messa di Bolsena; Liberazione di S. Pietro; L'incontro di Leone Magno con Attila ), la missione di Giulio II, liberatore della chiesa con l'aiuto divino. Stilisticamente, essa rappresenta la rapida evoluzione dell'arte di Raffaello al gusto cinquecentesco: alla statica solenne ed equilibrata della Segnatura, seguono, in questa seconda Stanza, composizioni che per intensità di movimento e per il contrasto delle luci sembrano addirittura preludere al barocco. È probabile che sia stato l'esempio di Sebastiano del Piombo ad arricchire l'arte di Raffaello di una nuova vivacità cromatica: si osservi come la decorazione architettonica è più allusiva e traversata dalle luci e dalle ombre, si guardi il contrappunto di tre luci diverse che rende così suggestiva la Liberazione di S. Pietro , si ammiri come, nel Miracolo di Bolsena , biancheggino i lini, avvampino le porpore e il colore fresco delle vesti femminili si contrapponga alle squillanti uniformi degli Svizzeri: si vedrà ulteriore arricchimento per l'arte di Raffaello era stato rappresentato dalla conoscenza del cromatismo dei veneti attraverso l'attività romana di Sebastiano del Piombo e del Lotto. Quasi per intero eseguita da aiuti è la quarta storia, con la rappresentazione dell' Incontro tra Leone Magno ed Attila , nella quale la chiarezza e l'unità compositiva appaiono disfatte dal numero eccessivo dei personaggi e dal loro modellato turgido, forse dovuto, oltre che ad un rinnovato influsso michelangiolesco, alla intensa collaborazione di aiuti. A questi, poi, si deve la esecuzione della terza Stanza, detta dell' Incendio di Borgo (1514-17), nella quale solo la composizione che le dà il nome reca tracce dirette dell'intervento del maestro. Anche la Sala di Costantino fu decorata dagli allievi, secondo i disegni di R. , dopo la morte del maestro (1520) L'ultima fase dell'attività di R. , oberato da commissioni sempre più frequenti e numerose; prima di parlarne è però necessario ricordare brevemente i principali dipinti da lui eseguiti parallelamente alle prime due Stanze. Già si è accennato alla Galatea (1511), primo soggetto mitologico trattato dal maestro dopo le Tre Grazie di Chantilly; rispetto a questa tavola, l'affresco della Farnesina ( iter 5 ) ha una straordinaria carica vitale che si esprime attraverso il forte modellato e gli scattanti movimenti di origine michelangiolesca. Alle innovazioni cromatiche della Stanza di Eliodoro si collega invece la Madonna di Foligno (1511-1512; Roma, Pinacoteca Vaticana, iter 9), prima pala del Sanzio condotta su schemi cinquecenteschi, assai felice per l'aspetto paesistico e atmosferico, probabilmente derivato dall'influsso di Dosso Dossi. Anche nei ritratti contemporanei ( La donna velata , Pitti; Baldassarre Castiglione , Louvre) abbiamo la rivelazione di un Raffaello colorista; specie nel ritratto del Castiglione, anzi, il supremo equilibrio della figura rispetto allo sfondo è raggiunto proprio mediante le sottili variazioni luminose sui grigi e la dolcezza pastosa e leggera della materia pittorica, che si accompagnano ad un approfondimento del modello, psicologicamente interpretato secondo i canoni morali ed estetici del Rinascimento. Intanto R. dipingeva a fresco l' Isaia, nella chiesa di S. Agostino (iter 6), ispirandosi ai Profeti di Michelangelo della Sistina, le Sibille di S. Maria della pace (iter 6) , la Madonna della Seggiola (Pitti), così perfetta per il calcolo attento dei gesti e per l'intensa vitalità dei personaggi, la Visione di Ezechiello (Pitti) e il Giulio II (Uffizi). Durante il pontificato di Leone X l'attività di R. continuò instancabile. Alla sua operosità di pittore si venne affiancando anzi quella di architetto. Incaricato di succedere al Bramante nella direzione della fabbrica di S. Pietro (iter 9), pensò di opporre un progetto di basilica a croce latina a quello bramantesco a croce greca; su progetti suoi sorsero la chiesa di S. Eligio degli Orefici (in via S.Eligio) , i palazzi romani Caffarelli e Branconio d'Aquila, il Palazzo Pandolfini a Firenze, opere tutte che, pur riallacciandosi ad esperienze del Laurana e del Bramante, attestano una visione architettonica suggerita dal trattamento pittorico e armonico al maestro un posto a sé nella storia dell'architettura italiana del Cinquecento. Nel frattempo preparava i cartoni per i dieci arazzi con le Storie Evangeliche (1515-16),dipingeva, sia pure ricorrendo ad aiuti, la Santa Cecilia (Bologna), decorava la Loggia di Psiche della Farnesina (1517), presiedeva al lavoro dei suoi scolari, impegnati nella decorazione a grottesche delle Logge Vaticane, compiuta nel 1519. Ma lasciava anche un nutrito gruppo di dipinti interamente autografi, che testimoniano il fecondo arricchimento del suo stile ed il supremo magistero raggiunto dalla sua arte in questi, che avrebbero dovuto essere gli ultimi anni della sua vita. Ci limiteremo ad indicare, come esempi di questa estrema fase della sua attività, la Madonna Sistina (Dresda), così coerente nella disposizione delle figure proiettate contro uno squarcio di cielo reso visibile dall'aprirsi delle due cortine di un velario, i ritratti del Cardinale del Prado, della Fornarina (Roma, Gall. Nazionale d'arte antica Palazzo Barberini, iter 3) e quello di Leone X, così straordinario per l'intenso accordo dei rossi, così intenso nell'acutissima interpretazione della psicologia del pontefice e dei cardinali Giulio de' Medici e Ludovico de' Rossi. Ed infine, la Trasfigurazione (Roma, Pinacoteca Vaticana, iter 9); fu sicuramente questa una delle ultime opere pittoriche di Raffaello, autografa solo nella parte superiore, mentre quella inferiore fu eseguita da Giulio Romano dopo la morte del maestro. La tavola, incompiuta, venne solennemente esposta a capo del feretro di Raffaello, davanti al quale tutta Roma in lutto sfilò reverente, per rendere omaggio all'artista che meglio di ogni altro aveva saputo contemperare classicismo e cristianesimo, l'artista nel quale i contemporanei videro la sintesi più comprensiva della cultura figurativa del Rinascimento. E che pure, vivente ancora, era stato criticato, ma più per animosità di fazione che per convinzione, come sempre accade per i grandi, e non soltanto in ambiente artistico, se quando vennero scoperti gli affreschi con la favola di Amore e Psiche , Lionardo Sellaio si affrettò a scrivere a Michelangelo che erano " chosa vituperosa ". Ed esaltato ed acerbamente criticato, Raffaello avrebbe dovuto essere anche dai posteri; esaltato quando la composizione a lui della perfezione artistica passò alla storiografia del Barocco con il Bellori ed alla teoria del neoclassicismo con il Mengs o quando la corrente classicheggiante della pittura, dal Domenichino al Reni, al Poussin e all'Ingres, ne emulò gli ideali figurativi. Criticato dall'Ottocento in poi, e in misura anche più netta in tempi recenti, quando lo si definì con degnazione un eclettico geniale, un assimilatore ricco di eccezionali capacità rielaboratrici. Giudizi tutti, questi, che appaiono legati a gusti transeunti, e che non scalfiscono la grandezza del suo genio, tanto esso ancora oggi appare sostanziato da una esaltante forza generatrice di bellezza. Raffet, Denis-Auguste-Maire Pittore e incisore francese (Parigi 1804 - Genova 1860). Fu allievo di A. J. Gros, ma apprese da N. T. Charlet la tecnica della litografia, di cui R. fece la sua arte preferita. Temi delle sue incisioni sono le vicende napoleoniche, ( Bonaparte al bivacco , 1835); ed episodi della guerra di Algeria ( Ritirata di Costantino ), che interpretò con vivido senso pittorico e potente fantasia creatrice. |