Categoria: Artisti
Nome: Michelangelo Buonarotti
 
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Michelangelo si reca la prima volta a Roma nel 1496 invitato dal cardinale Riario Poi, dal 1505, chiamato da papa Giulio II. Dopo la morte di Clemente VII, il nuovo Papa Paolo III lo nomina architetto, scultore e pittore del palazzo Vaticano.

TITOLO ANNI LUOGO ITER
Pietà 1498-1499 Basilica di San Pietro in Vaticano 9
Affresco della volta della cappella Sistina 1508-1512 Vaticano 9
Cristo risorto (forse con la collaborazione di Raffaele da Montelupo) 1514-1521 S.Maria della Minerva 6
Giudizio universale (su incarico di Clemente VII, confermato nel 1535 da Paolo III ) 1533-1541 Vaticano 9
Sistemazione della statua equestre di Marco Aurelio al Campidoglio 1538 Piazza del Campidoglio 1
Affresco della crocifissione di S.Pietro e Conversione di S. Paolo 1542 Vaticano 9
Sistemazione della piazza del Campidoglio, e cordonata di accesso dal lato settentrionale (completati da Giacomo Della Porta e altri) 1544-1552 Piazza del Campidoglio 1
Direzione della fabbrica di San Pietro, dopo la morte di A. da Sangallo il giovane 1546 Basilica di San Pietro in Vaticano 9
Mosè . Giulio II gli aveva affidato nel 1505 la scultura della propria tomba. La “tragedia della sepoltura” (così la chiamava M. durò per 39 anni e, dopo molti contratti, terminò con questa sola statua 1505 1544 S.Pietro in Vincoli 4
direzione dei lavori del Palazzo Farnese, successe ad Antonio da Sangallo il Giovane 1546 Piazza Farnese 5
Termine degli affreschi della Cappella Paolina 1550 Vaticano 9
Disegno della scala del cortile di Belvedere 1552 Vaticano 9
Incarico per la costruzione della Cupola di San Pietro (costruita dopo la sua morte da G. Della Porta e da D. Fontana) 1555 Basilica di San Pietro in Vaticano 9
Modello per la Cupola di San Pietro 1557   -
Progetto per la Chiesa di S.Giovanni dei Fiorentini 1559 Via degli Acciaioli, 2 9
Disegni per la Cappella Sforza in S.Maria Maggiore   S.Maria Maggiore 3
Prospetto della Porta Pia verso la città 1560 - -
Progetto per la Chiesa di S.Maria degli Angeli (poi modificata dal Vanvitelli) 1561 Piazza dei Cinquecento 3

Scultore, pittore, architetto e poeta italiano (Caprese, 6 marzo 1475 - Roma 18 febbraio 1564). Il padre l'aveva posto a bottega (1488) presso Domenico Ghirlandaio, ma già nel 1489 M. passava alla scuola di scultura diretta da Bertoldo nei giardini medici, presso S. marco; oltre che sulle antiche sculture che ivi poteva studiare, il giovanissimo artista si venne formando disegnando le pitture di Giotto e di Masaccio, la cui essenza plastica e grandiosità erano così congeniali al suo spirito. Notato tra gli altri giovani allievi da Lorenzo de' Medici, fu da lui preso in casa come un figlio, e presso i medici rimase dal 1490 al 1494, conoscendovi e frequentando il Poliziano, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e tutti i maggiori umanisti del tempo. Dell'attività di questo periodo restano i rilievi della Madonna della Scala (1491 circa) e della battaglia dei Centauri (1492 circa), ora nella Casa Buonarroti in Firenze; in essi la personalità dell'artista si mostra già matura e originale, sia nell'adozione della tecnica dello schiacciato, impiegato nella Madonna con intenti plastici e volumetrici ben diversi da quelli pittorici che erano stati di Donatello, sia nel vigore e nel contrasto di forze che danno tanta robustezza al secondo rilievo. Nell'ottobre 1494 M., presentendo la cacciata di Piero de' Medici, lasciò Firenze per Venezia e poi per Bologna, e in questa città eseguì le due statuette di S. Petronio e di S. Procolo e un Angelo reggicandelabro per l'arca di S. Domenico nella chiesa omonima. Durante il soggiorno bolognese dovette influire sulla maturazione dell'artista lo studio delle sculture di Jacopo della Quercia e forse anche quello dei grandi pittori ferraresi. Con il ritorno a Firenze e la successiva andata (1496) a Roma su invito del cad. Riario, si chiude la prima fase dell'attività del maestro: le opere romane (Bacco , 1496, Firenze, Mus. Nazionale; Pietà , 1498, Roma, S. Pietro in Vaticano) già rivelano un nuovo atteggiamento: un'attenta meditazione sull'arte classica, il primo; raccolta e meditabonda serenità, la seconda, che nella sua alta spiritualità religiosa formalmente conclude le esperienze ella plastica quattrocentesca fiorentina e inizia quella del Cinquecento. La prima grande fase creativa della sua giovinezza coincise con il successivo soggiorno a Firenze (1501-1505). Già famoso, amico del gonfaloniere Pier Soderini, ricevette importanti commissioni: dal card. Francesco Piccolomini, di 15 statue per un altare nel duomo di Siena, delle quali eseguì con aiuti solo quelle dei SS. Pietro, Paolo, Pio e Gregorio ; dall'Arte della Lana, del David , presto compiuto e collocato (1504) sulla scala davanti al Palazzo della Signoria, dove fu poi sostituito da una copia mentre l'originale si trova ora nella Gall. dell'Accademia. È, la gigantesca statua del David , un alto capolavoro di energia contenuta che si sviluppa incisivamente in ogni membro dell'eroe, per esprimersi con alto valore morale nel suo sguardo. Opera altissima, dove appare già quella lotta tra spirito e materia che poi sarà tra i precipui caratteri espressivi dell'arte di M., è anche l'abbozzo del S. Matteo (Firenze, Accademia), unica parte eseguita delle dodici statue di Apostoli commessegli (1503) dall'Opera del Duomo. Severa serenità emana invece dal gruppo, di poco posteriore, della Madonna col Bimbo che, acquistato da mercanti fiamminghi, ora si trova nella chiesa di Notre Dame a Bruges. Nel 1504 la Signoria affidò a Leonardo il compito di affrescare la Sala del Consiglio di Palazzo Vecchio con la Battaglia di Anghiari ; poco dopo il Soderini commise a M. un affresco di argomento analogo per la parete di fronte a quella assegnata a Leonardo. M. preparò allora il cartone della Battaglia di Cascina (1506), presto disperso in brani dagli artefici che lo copiavano. Ai medesimi anni risale la esecuzione di tre tondi, due marmorei con la Madonna, il Bimbo e S. Giovannino mentre il terzo, con la Sacra Famiglia (Firenze, Uffizi), fatto per Agnolo Doni, è l'unico dipinto autografo su tavola di M. Dei due tondi marmorei, il primo (Londra, Accademia), eseguito per Taddeo Taddei, richiama Leonardo sia nel movimento scattante del Bimbo sia nella ricerca di un'atmosfera vibrante alla luce; nel secondo invece (tondo Pitti; Firenze, Bargello) volumi conchiusi si staccano dal fondo con effetto plastico e le forme larghe e grevi sono affini a quelle del David . Analoghi effetti, ma da pittore, l'artista raggiunse nel tondo Doni, con un colore freddo e acuto, mentre l'aggruppamento a spirale dei corpi, specie di quelli della Vergine e del Bimbo, offrono un primo esempio di quella ricerca di una figura umana " piramidale, serpentinata e moltiplicata ", come scrisse il Lomazzo, che sarà uno tra i motivi più frequenti dell'arte di M. Chiamato a Roma (1505) da papa Giulio II, ricevette da lui l'incarico di eseguirgli il mausoleo che avrebbe dovuto essere collocato entro l'abside della basilica di S. Pietro, allora in costruzione. Cominciò così quella che poi M. avrebbe chiamato " la tragedia della sepoltura ", vera idea ossessiva destinata ad occupare la mente dell'artista per ben quaranta anni (dal 1505 al 1545) e realizzata infine in forme assai diverse e di gran lunga meno grandiose di quelle ideate nel 1505. Il progetto presentato in quell'anno prevedeva infatti un mausoleo a forma di grandiosa edicola rivestita da statue, nel quale, con una rielaborazione in senso cristiano del significato degli antichi mausolei, 40 figure più grandi del vero avrebbero dovuto esprimere la lotta dell'uomo per conquistare la pace nella fede. I marmi per la tomba erano già stati scelti dall'artista durante una permanenza di qualche mese nelle cave di Carrara; ma quando tornò a Roma, M. trovò Giulio II già rivolto ad altre imprese e deciso a fargli dipingere la volta della Sistina; sdegnato, l'artista lasciò Roma (1506) per Firenze, dove riprese i lavori per il cartone della Battaglia di Cascina; poi (novembre 1506) si presentò in Bologna a Giulio II, che allora aveva conquistato quella città, e, ricevutone il perdono, ebbe da lui la commissione di ritrarlo in una statua di bronzo da porre sulla facciata di S. Petronio. Al principio del 1508 la statua era terminata, ma nel maggio 1511 venne distrutta dal popolo bolognese, insorto contro il dominio pontificio. Nel frattempo l'artista, richiamato a Roma, dovette sottostare alla volontà di Giulio II e accingersi a dipingere la volta della Sistina. Questo lavoro immenso, iniziato il 10 maggio 1508, nel settembre 1510 era già stato compiuto a metà e nell'ottobre 1512 era terminato. Secondo il progetto definitivo (uno, più semplice, fu ben presto abbandonato), tema degli affreschi è la storia del mondo e dell'umanità prima di Cristo, forse da interpretarsi simbolicamente come il dramma del trapasso dalla materia allo spirito e dal peccato alla Grazia. la decorazione pittorica si risolve così in un ciclo narrativo che si sviluppa nel senso della direzione che va dall'altare all'ingresso della Cappella, cioè nel senso opposto a quello in cui l'artista, di fatto, andò eseguendo gli affreschi. Nove riquadri, alternativamente più larghi e più stretti, illustrano in vari episodi la creazione del mondo, il peccato originale, il diluvio; figure ignude (Angeli o geni ) fiancheggiano i riquadri e sono collegate all'incorniciatura dei troni, sui quali, nei triangoli delle volte, seggono i Profeti e le Sibille, preannunciatori della venuta del Redentore; nelle volte delle lunette e nelle lunette stesse sono raffigurati invece gli antenati di cristo; infine, nei quattro pennacchi angolari sono rappresentate scene che alludono all'aiuto offerto da Dio al popolo d'Israele. L'immenso ciclo della Sistina fu realizzato di getto, con ininterrotta continuità, eccezioanel nell'opera di M.: onde una freschezza di attuazione che egli non ritroverà più. Nessuna altra opera sua avvince in maniera così irresistibile per la originalità della impostazione, per la travolgente e drammatica ricchezza dei motivi, per un elevarsi poderoso e sicuro al disopra del mondo empirico. la sua struttura è quella di una grande " architettura animata "; in essa, come scrisse il Vasari, M. "nel partimento non ha usato prospettive che scortino, né v'è veduta ferma, ma è ito accomodando più il partimento alle figure, che le figure al partimento", con una concezione pittorica, cioè, analoga a quella con la quale egli aveva immaginato l'architettura scultorea della tomba di Giulio II. Lo sviluppo temporale dell'opera corrispose a un graduale evolversi dei mezzi espressivi; questi, dal maggior rigore disegnativo delle scene dipinte per prime, vanno cedendo nelle più tarde a modi più larghi, a un pittoricismo più morbido e fuso. Agli inizi del 1513 morì Giulio II: di conseguenza M. dovette stipulare con gli eredi del papa un nuovo contratto per la tomba del pontefice, preparando un secondo progetto più modesto del primo e mettendosi subito all'opera. Delle statue per la tomba l'artista portò a termine (1513-14) due Prigioni (ora al Louvre) e ne abbozzò (1520-22) altri quattro (Firenze, Accademia); i primi due (Prigione morente; Prigione ribelle ) sono tra le più espressive creazioni dell'artista, tanto in essi l'esperienza perseguita negli ultimi Ignudi della Sistina è approfondita nel marmo, con il maggior vigore plastico risultante dalla sporgenza alternata delle membra secondo il principio del " contrapposto " già saggiato in altre opere; ancor più drammatico appare il contrasto delle masse parzialmente sbozzate nei quattro Prigioni incompiuti, ancor meglio suggerisce il senso della dolorosa lotta fra lo spirito e la materia. Forse alla tomba di Giulio II doveva esser destinato anche il gruppo detto della Vittoria (Firenze, Palazzo Vecchio; 1532 circa), nel quale il modulo del contrapposto giunge ad estremi quasi manieristici nel complicato incrocio delle masse e nella torsione dei corpi. Ma l'unica tra le statue eseguite per quel complesso che poi trovasse posto nella tomba definitivamente realizzata e più tardi (1545) eretta in S. Pietro in Vincoli a Roma, è il Mosè (1513-16). Come i Prigioni del Louvre, anche il Mosè si lega alla ispirazione della Sistina, e particolarmente ai Profeti , nella cui serie idealmente rientra per il contenuto movimento del corpo, per la energia vibrante che tutto lo pervade, per lo scatto della testa superba. Sono anni, questi, di indefessa e multiforme attività, eppur amareggiati da contrasti, da progetti rimasti incompiuti oppure condotti a termine solo più tardi, da disinganni e sventure personali e cittadine: nel 1514 è scolpito il Cristo risorto (Roma; S. Maria sopra Minerva – Iter 6), un'opera di alta serenità classica, anche se indebolita da guasti e dall'intervento di collaboratori; tra il 1516 e il 1520, per volontà di Leone X, sono predisposti disegni e un modello per la facciata di S. Lorenzo in Firenze, secondo un progetto destinato a fallire per il mutato animo del papa; nel 1521 Leone X ordina al maestro di erigere la Sacrestia Nuova di S. Lorenzo destinata a sepolcro dei medici, lavoro fattogli proseguire fino al termine (1534) dal nuovo papa Clemente VII, anch’egli un Medici, che intanto gli faceva costruire a Firenze la Biblioteca Laurenziana, iniziata nel 1524. A questi lavori M. si dedicò fino al 1527, alternando soggiorni a Roma e a Firenze; qui, egli si rifugiò nell'imminenza del sacco di Roma (1527), e qui, dopo la cacciata dei medici dalla città, aderì per convinzione al nuovo governo repubblicano, accettando di presiedere alla fortificazione di Firenze, minacciata dagli eserciti del papa e dell'imperatore. Ma, sospettando l’imminente tradimento di Malatesta Baglioni, Capitano delle truppe repubblicane, e avendone inutilmente avvertiti i magistrati fiorentini, fuggì d'improvviso a Ferrara e poi a Venezia (ottobre 1529), dove progettò di passare in Francia. Dichiarato ribelle dalla Repubblica, poi perdonato, ritornò in patria durante l'assedio e vi si condusse da valoroso; alla caduta della città (1530), in un primo momento dovette nascondersi, ma Clemente VII lo perdonò ordinandogli di riprendere i lavori per la Biblioteca Laurenziana e per la Cappella Medicea in S. Lorenzo. Quale fu realizzata, la cappella non corrisponde pianamente al progetto originale di M.; questi aveva infatti previsto di decorare le pareti con affreschi e stucchi e contava inoltre di eseguire anche le tombe di Lorenzo il magnifico e di suo fratello Giuliano ed altre sculture, delle quali restano il modello di un Dio fluviale (Firenze, Accademia) e il Giovane accasciato (Leningrado). Nella sua forma definitiva la Cappella è a pianta centrale ed ha la architettura ispirata a quella della vicina Sacrestia Vecchia del Brunelleschi, pur non raggiungendone né la chiarezza strutturale né la serena semplicità. Nella cappella michelangiolesca l'architettura è sottoposta alle esigenze espressive della scultura: le pareti si animano plasticamente per il forte aggetto delle cornici, per l'incombere delle finestre chieche sulle porte basse con mensole sporgenti, per il constrasto del marmo con la pietra grigia che costituisce l'ossatura della cappella; a rendere più evidenti queste qualità di movimento e di energia contribuisce la cupola semisferica, decorata a cassettoni. Pari vigore denso di ritmi contrastanti si sprigiona dalle due statue di Lorenzo de' Medici duca di Urbino e di Giuliano de' Medici duca di Nemours, nonché dalle raffigurazioni del Giorno e della Notte , del Crepuscolo e dell'Aurora a due a due gravanti sopra i sarcofagi. Gli sguardi dei due capitani si volgono alla immagine della Vergine , dal bellissimo volto pensoso, piegata lievemente in avanti con una leggera torsione del corpo di senso opposto al movimento del Bimbo, teso a suggere il seno materno. Alla rigorosa coerenza formale della Cappella corrisponde la sua assoluta unità concettuale: le verità eterne, pagane e cristiane, circa la vita, la morte e l'aldilà sono espresse con una sintesi perfetta. Ad antiche immagini dell'Ade la Cappella sembra infatti ispirarsi con le quattro allegorie del Giorno , della Notte , dell'Aurora e del Crepuscolo , così allusive all'idea della caducità del tempo con le stesse statue di Giuliano e di Lorenzo, questi guerrieri chiusi in antiche armature, che non pregano ma contemplano la verità suprema. Ma risponde alla visione dell'oltremodo cristiano il fatto che i Capitani siano posti al di sopra delle quattro allegorie: tutto divora il tempo, ma il destino immortale del trapassato è nel suo trionfo spirituale ed eterno, è nel suo configgere lo sguardo nel volto della Vergine e del Bimbo, testimoni, attori e strumenti, appunto, di una eterna Resurrezione. Alcune tra le statue della cappella (il Crepuscolo , il Giorno , la stessa Vergine) non sono, com’è noto, condotte a pulitura ed hanno alcune parti non terminate, consentendo così di porre il problema del " non finito " michelangiolesco. Su questo aspetto dell'arte del maestro si è discusso a lungo, ma ormai predomina il parere che lo stato non finito di tante sculture di M. sia dovuto ad un consapevole atto di volontà dell'artista, che così intendeva raggiungere precipui effetti espressivi. Del resto, il metodo di lavoro di M. di " cavare con lo scalpello le figure de' marmi " dava ad esse, in ogni momento della esecuzione, al tocco del ferro, una tale vibrazione di vita, da imprimere loro perfetta compiutezza artistica, finite o non finite che fossero. Contemporaneamente alla Cappella Medicea, sempre per incarico di Clemente VII, M. lavorava alla Tribuna delle Relique in S. Lorenzo ed alla Biblioteca Laurenziana. Questa consta di un vestibolo e di un lungo salone; il vano del primo è quasi tutto occupato dalla grandiosa scalea, eseguita in pietra dal vasari su disegni di M. , che però avrebbe voluto fosse in noce scuro; netto è il contrasto fra le pareti, fitte di membrature del vestibolo, animate dal gioco delle colonne incassate, e l'aspetto più sereno del salone, dai bellissimi plutei disegnati anch'essi da M. Nel 1534 l'artista lasciò definitivamente Firenze ed andò a stabilirsi a Roma, dove, morto Clemente VII, il nuovo Papa Paolo III lo nominò architetto, scultore e pittore del palazzo Vaticano (1535) e lo incaricò di affrescare con il Giudizio Universale la parete della Sistina posta sopra l'altare. Il 25 dicembre 1541 l'opera venne scoperta, suscitando grande ammirazione, ma provocando anche le critiche dei più bigotti esponenti delle nuove tendenze controriformistiche, i quali rimproveravano al maestro di aver rappresentato nudi i personaggi dell'immenso affresco. Quelle critiche, è noto, furono purtroppo ascoltate, e molte parti dei nudi della composizione vennero più tardi velate ad opera di Daniele da Volterra. La scena del Giudizio è troppo nota perché debba essere descritta: intorno alla figura dominatrice del Cristo e a quella trepida della Vergine " fluttua una tumultuante marca di personaggi, che ora si rapprende in densi grappoli, ora si dissocia violentemente, creando gorghi di vuoto contro il cielo livido " (Carli). Anche per le sue scarse variazioni coloristiche, nessuna opera forse esprime meglio il profondo tormento religioso di M.; quando egli tornò nella Sistina per compiere sulla parete dell'altare il ciclo giovanile della volta, gli ideali della giovinezza, suscitatori di una umanità eroica protesa nell'attesa del Messia, dovevano apparirgli lontani, tramontati, quasi peccaminosi. Per quanto sin da giovane fosse stato impressionato dalla predicazione del Savonarola, un profondo mutamento psicologico era avvenuto in lui solo negli ultimi anni, a contatto con lo spirito della controfigura, ed era stato rinsaldato dai suoi rapporti con il gruppo riformista cattolico collegato a Vittoria Colonna, la gentile poetessa che dal 1538 alla morte (1547) gli fu amica sincera, appassionatamente venerata. Come la Divina Commedia, alla quale del resto M. si ispirò in alcuni particolari, il Giudizio non è soltanto rappresentazione del destino finale dell'uomo: è anche una grandiosa visione dell'umanità soggetta alle forze vorticose dell'universo, è una immagine, e immagine terribile, di un intero sistema religioso che trova il suo centro drammatico nel gesto grave, imperioso del Cristo giudice, e nel quale M. contempla la sua propria, personale condanna. È noto infatti come il maestro, con infinita dolorosa umiltà, rappresentasse se stesso nella pelle di S. Bartolomeo. Nel frattempo M. aveva scolpito (1539 circa) per Donato Giannotti il busto di Bruto (Firenze, Bargello), un capolavoro di modeste dimensioni nel quale il motivo dei ritratti imperiali romani è rivissuto in modo personale, nello scatto della testa e nelle vibrazioni del modellato " fatto sensibilissimo alla luce per l'uso della gradinatura " (Russoli). Al 1542 risale l'ultima impresa pittorica di M., e cioè i due affreschi con la Conversione di S. Paolo e la Crocefissione di S. Pietro della Cappella Paolina in Vaticano; in essi, alcuni caratteri (la collocazione in primo piano di mezze figure, la concezione prospetica a volo d'uccello, ecc.) preludono ad aspetti che poi saranno peculiari del tardo manierismo, ma la varietà e scelta dei colori e la triste dolcezza dei paesaggi rivelano qualità pittoriche altissime. Ma fu l'attività di architetto ad assorbire in questi anni quasi tutte le energie dell'artista: morto (1546) Antonio da Sangallo il Giovane, M. gli successe nella direzione dei lavori del Palazzo Farnese e nella carica di architetto di S. Pietro, proprio mentre riceveva l'incarico di dare una nuova sistemazione alla piazza del Campidoglio. Al momento della morte di M. la costruzione dei nuovi edifici progettati dall'artista era ben lontana dell'esser compiuta, sicché Giacomo Della Porta, e gli altri che ne seguitarono l'opera, poterono modificare il disegno originale. Comunque sia, la piazza fu concepita da M. come un ambiente quasi chiuso, alla quale si accede mediante una vasta rampa, la " cordonata ", che la collega alla città sottostante; i due palazzi laterali (dei Conservatori e dei Musei) hanno un allineamento obliquo rispetto all'asse principale della piazza, il che accentua l'ampiezza non grande dell'ambiente; sul quarto lato si eleva il Palazzo Senatorio, sormontato da una torre e preceduto da una scalea, che per la sua maggiore altezza e per la sua stessa forma vivamente contrasta con quelli laterali, nei quali un fondo portico crea dense zone d'ombra. Così, tutto il mirabile complesso urbanistico sembra essere ispirato allo stesso contenuto plasticismo e al medesimo " contrapposto " che presiede alla scultura di M.; eppure, esso è mirabilmente unitario, incentrato come è intorno al monumento equestre a Marco Aurelio, per il quale M. disegnò un nuovo basamento di forma ovale in modo che si accordasse con la decorazione stellare, ma chiusa entro un'ellisse, della pavimentazione. Agli ultimi anni appartengono anche, tra l'altro, il prospetto della Porta Pia verso la città (1560), la sistemazione di S. Maria degli Angeli (poi rielaborata e modificata dal Vanvitelli) e i bellissimi progetti per la chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini, predisposti per incarico di Cosimo I e rimasti inattuati. ma l'opera di gran lunga più importante, quella che assillò l'artista fino alla morte, fu il compimento della basilica di S. Pietro. Per questa, M. riprese il concetto bramantesco della pianta centrale, ma semplificò la complessa planimetria del bramante, sostituendo al " chiaro, schietto e luminoso " equilibrio di quella una potente concentrazione di masse ritmate dagli elementi verticali dell'ordine gigantesco. per ottenere questi effetti M., rassodate le strutture murarie già costruite, animò le masse dell'edificio con un forte giuoco di ombre ottenuto mediante l'apertura di nicchie e finestre serrate dalla robusta trabeazione e conchiuse in alto dal poderoso tamburo della cupola. Questa fu poi costruita da G. Della Porta e da D. Fontana, i quali modificarono il modello eseguito (1558-61) da M. dando maggiore slancio all'insieme e minor volume alle nervature. Ma se la cupola fosse stata costruita a calotta semisferica, secondo l'originario progetto di M., essa avrebbe ancor meglio suggerito la sensazione di plasticità massiva e contenuta che tutto il grandioso organismo ci offre. Pur dedicandosi quasi del tutto all'architettura e pur non accogliendo altre commissioni per opere di scultura, in questi ultimi anni M. non trascurò l'arte che gli era prediletta; solo, la praticò per se stesso, come sfogo della sua profonda religiosità, per esprimere con essa " la sua gratitudine al Cristo che, col Suo esempio, gli aveva rivelato la via della pace e della salvezza, tornando più volte a figurarlo nel sacrificio " (Russoli). Tre sono le Pietà scolpite nell'ultimo quindicennio: quella ora conservata all'Accademia di Firenze, e detta di Palestrina perché si trovava nel Palazzo Barberini di quella città, non è da tutti ritenuta opera autografa; questi dubbi sulla sua autenticità sono forse giustificati solo da possibili ritocchi posteriori, giacché la patetica figura del Cristo ben si apparenta a quella dei Prigioni di Firenze pur nella maggior gravezza che l'accosta alle figure della Cappella Paolina. Una " sacrificata armonia di dolente tenerezza " (Russoli) si esprime invece nella bellissima Pietà (1547-1555) del Duomo di Firenze, un gruppo a struttura piramidale con intrecci di membra contrapposte, forse ideato da M. per la tomba che avrebbe voluto gli fosse eretta in S. Maria Maggiore. Ultima, e incompiuta, opera di M. è la Pietà Rondanini (Milano, Museo del Castello), così detta dall'omonimo palazzo romano da cui proviene. Tre disegni, conservati a Oxford, ci consentono di seguire la evoluzione del pensiero dell'artista nella esecuzione di questo suo estremo capolavoro. la prima versione era ispirata a un tipo della trinità; poi, a mano a mano, il progetto si venne riducendo alle sole due figure della Madre e del Figlio: allungate, indistinte, prive di ogni chiara limitazione fisica, ergentisi l'una accanto all'altra quasi a dar vita a un corpo solo, le due immagini, nella vibrazione della materia scabra e sensibile al tocco della luce, sono una indimenticabile, tragica testimonianza resa al dolore umano. Alla Pietà Rondanini M., già molto malato, continuò a lavorare fino agli ultimi giorni di vita, chiuso nella sua casa di Macel de' Corvi; poi, il 18 febbraio 1564, passo " dalla orribil procella in doce calma ". Sepolto in un primo tempo a Roma nella chiesa dei SS. Apostoli, il suo corpo venne poi traslato a Firenze per essere deposto in S. Croce, dove gli venne eretto un monumento disegnato dal Vasari. Non è qui possibile esaminare il gran numero di disegni da lui lasciati, ed ora raccolti nella Casa Buonarroti in Firenze e in moltissime collezioni italiane e europee; né è il caso di parlare della sua attività di scrittore, anche se le sue Rime , per la vigorosa adesione ai concetti platonici della bellezza che le distingue da quelle dei petrarchisti del tempo, possono dare più di un suggerimento per una retta interpretazione della sua arte. Anche le sue lettere e le testimonianze dei contemporanei possono servire a questo scopo; ma il definirne la personalità altissima e complessa senza tradirne l'unitaria, sovrumana potenza creatrice, appare tuttora, pur dopo tanti studi, un tentativo quasi impossibile. I contemporanei, quasi sbigottiti, ne trasfigurarono la immagine in un'aura quasi di mito; non per nulla il Vasari scrive avere "il benignissimo Rettore del Cielo" mandato con lui in terra uno spirito " acciocché il mondo lo eleggesse ed ammirasse per suo singolarissimo specchio nella vita, nelle opere, nella santità de' costumi ed in tutte le azioni umane; e perché da noi piuttosto celeste che terrena cosa si nominasse ". I posteri, in una letteratura di enormi dimensioni, ne hanno a volta a volta esaminato così vari della sua molteplice e multiforme attività. Si è parlato " di un M. neoplatonico e di M. cattolico, della sua classicità e, in contrapposto, dei valori romantici che si troverebbero realizzati nell'arte sua... con termini magari non sempre fra di loro antitetici, ma spesso vicendevolmente escludentisi" (Carli); si è visto in lui il coronamento della Rinascita, e lo si è invece considerato il padre del Manierismo, l'anticipatore del Barocco e persino un precursore del Romanticismo: affermazioni, tutte, parziali, anche se, specie le prime due, contenenti elementi di verità. Resta il fatto storicamente indiscusso che l'opera sua influenzò quasi tutti gli artisti del suo tempo, anche i grandissimi come Raffaello, Tiziano e, in modo notevole, Tintoretto; più tardi, risentirono di lui Rubens e molti altri, fino ai romantici Géricault e Delacroix. Notevolissimo fu l'apporto della sua arte agli sviluppi del manierismo, specie a Firenze e Roma, ma di rimbalzo anche altrove, nella pittura e nella scultura. Analogamente, anche nella evoluzione delle forme architettoniche italiane e, in parte, di quelle straniere, concezioni e modi michelangioleschi ebbero una eco più o meno profonda per tutta la seconda metà del Cinquecento e per i primi anni del Seicento

 

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