Categoria: Artisti
Nome: Bramante Donato
 
Ritorna: Eenco Artisti che hanno lavorato a Roma

Donato di Pascuccio di Antonio, detto B., occupa nella storia dell'architettura del Cinquecento la posizione di caposcuola che Brunelleschi e Alberti avevano avuto in quella del Quattrocento. Si era formato nell'ambiente urbinate, apprendendo dalla pittura di Piero della Francesca e dall'architettura di Luciano Laurana la predilezione per le ariose e luminose strutture che si proiettano liberamente nello spazio. È probabile che, prima di trasferirsi a Milano, avesse lavorato nelle Marche, in Emilia, a Padova e a Mantova, dove la conoscenza del S. Andrea di Leon Battista Alberti lo confermò nel suo amore per una visione spaziale dell'architettura. La sua prima opera certa è però di pittore; nel 1477, a Bergamo, dipinse sulla facciata del palazzo dei Priori una serie di filosofi, ora nella pinacoteca di Brera ma ridotta a pochi frammenti; la sostanziale perdita di quest'opera ci fa meglio apprezzare i resti di un più tardo ciclo di affreschi, già in casa Panigarola a Milano, e ora a Brera, raffiguranti anche essi filosofi e uomini d'arme, che chiaramente dimostrano quanto per il Bramante architettura e pittura fossero chiamate a un comune ufficio decorativo. Unica opera pittorica su tavola fondatamente attribuibile a B. è il Cristo alla colonna di Brera, che però è da alcuni attribuita al Bramantino; questa opera, mentre conferma quanto B. fosse debitore a Piero della Francesca per il gusto dell'austerità geometrica e a Melozzo da Forlì per il senso del volume è a buon diritto ritenuta uno dei capolavori della pittura cinquecentesca per l'ampiezza del senso spaziale e plastico. Ma l'attività principale di B. si svolse a Milano (dal 1479) alla corte di Ludovico il Moro; in questo periodo B. disegna una Prospettiva fantastica (1481), incisa da B. Prevedari; presiede alla ricostruzione della chiesa di S. Satiro (1480 circa -1486); collabora ai lavori del duomo di Pavia, del chiostro della canonica di S. Ambrogio e del castello ducale di Vigevano; costruisce la tribuna absidale di S. Maria delle Grazie; innalza la facciata del duomo di Abbiategrasso. Già si è detto quanto fosse stata determinante per B. la suggestione delle solenni forme dell'Alberti, specie del S. Andrea di Mantova; e infatti il maestro, nell'interno di S. Satiro, si preoccupò soprattutto di conseguire un risultato di bilanciata ampiezza spaziale, adottando uno schema a tre navate con transetto e cupola semisferica e prolungando le apparenti dimensioni della chiesa mediante la scenografica decorazione absidale che dà l'illusione di un profondo coro in realtà inesistente, alle spalle dell'altare. Nell'attigua sagrestia, ora adibita a Battistero, l'architetto accolse dal romanico lombardo la pianta ottagonale e il ritmo sovrapposto delle arcate in basso e della sovrastante galleria del matroneo, ma di questi schemi tradizionali si servì per affermare il principio di un'architettura basata su un rapporto di volumi. Ancora reminiscenze del romanico padano sono avvertibili nel grandioso complesso absidale di S. Maria delle Grazie, caratterizzato dall'innesto di tre corpi semicilindrici su un grandioso volume cubico che serve di base al tiburio, entro il quale la luminosa cupola semisferica conclude, all'interno, nella sua ampia ma perfetta misura, i puri valori spaziali del triplice coro; in confronto alla monumentalità del complesso architettonico, appaiono piuttosto gracili le decorazioni in terracotta che rivestono le mura sia all'esterno dell'abside che nell'interno della chiesa. Nel 1499 la caduta di Lodovico il Moro indusse B. a lasciare Milano per Roma, dove darà la misura completa del suo genio di architetto traendo stimolo dal contatto diretto con l'architettura classica romana per approfondire la sua concezione di volumi equilibrati e monumentali inseriti nello spazio con rigore geometrico. A Roma il maestro costruì il chiostro di S. Maria della Pace (1500 - 1504), il tempietto di S. Pietro in Montorio (1502), sola parte realizzata di un più vasto progetto, l'abside di S. Maria del Popolo, e forse collaborò ai lavori di Palazzo della Cancelleria e dell'annesso S. Lorenzo in Damaso. Multiforme fu la sua attività durante il pontificato di Giulio II, culminante nei lavori della nuova fabbrica di S. Pietro e del Palazzo Vaticano, rimasti interrotti per la morte del pontefice (1513) sopravvenuta quando i lavori per la basilica erano giunti fino al compimento dell'abside e all'imposta della cupola, mentre nei Palazzi era stato dato inizio ai due grandi cortili del Belvedere e di S. Damaso. Se nel chiostro di S. Maria della Pace rivivono elementi tipicamente lombardi ma interpretati con una nuova articolazione spaziale di misurata chiarezza, nel piccolo e solenne tempietto di S. Pietro in Montorio l'adozione di elementi classici, quali le colonne doriche e l'architrave a metope e triglifi, si inserisce in una rigorosa impostazione unitaria che armonicamente conclude tutto l'edificio, dal basamento circolare a tre gradoni fino al coronamento semisferico della cupola. Altrettanto accentrata, ma assai più solenne per l'ampiezza di tanto maggiore delle dimensioni, avrebbe dovuto essere la basilica di S. Pietro secondo il progetto bramantesco; il maestro aveva infatti immaginato un edificio a pianta centrale, poliabsidato, con alta cupola retta da un tamburo e fiancheggiata da quattro torri; carattere precipuo ne avrebbe dovuto essere la suddivisione rigidamente proporzionata degli spazi, tema dominante ne sarebbe stata la luce diffusa nella vastità dell'interno dall'alto della cupola. Il progetto bramantesco come è noto, non fu mai attuato, giacché nel corso dei lavori durati oltre 120 anni (dal 18 aprile 1506, quando B. diede inizio alla costruzione, al 18 novembre 1626, quando Urbano VIII consacrò il nuovo tempio), finì per essere preferita la pianta a croce latina; della monumentalità della concezione bramantesca possiamo perciò farci solo una pallida idea da disegni del Sangallo e del Serlio e dalla chiesa della Consolazione di Todi che, sia pure su scala minore, si attiene allo schema ideato dal B. per S. Pietro. L'influenza esercitata dal B. sull'architettura e sull'arte del suo tempo è stata profonda: non solo a lui si collega l'arte del Sansovino, del Sanmicheli e del Palladio fuori di Roma, di Baldassarre Peruzzi e del Sangallo a Roma; non solo nella movimentata monumentalità del cortile del Belvedere sono già percepibili temi che poi saranno ripresi da Michelangelo; nella Scuola d'Atene, l'affresco di Raffaello che glorifica il potere della sapienza umana, i massimi filosofi del mondo antico sono rappresentati sullo sfondo di una monumentale struttura architettonica, di chiara derivazione bramantesca: in quella immagine Raffaello ha simboleggiato per sempre il significato universale dell'arte del suo grande conterraneo.

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