SULL'ANTICA VIA CLODIA - HOME avc

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Programma Tre giorni sull'antica via Clodia (5-7 luglio 2013)

Un oliveto secolare al centro di un triangolo collinare ricco di testimonianze archeologiche: Roselle, Moscona, Mosconcino,è il luogo di partenza di trenta cavalieri maremmani,
che andranno alla riscoperta dell'antica via Clodia, un percorso immerso nella natura sulle orme del passato.

Progetto Sandro Vannucci - Coordinatore del progetto Andrea Poggiaroni - Segreteria organizzativa Caterina Ghetti - Logistica Fabio Sabatini Andrea Mazzi Leonardo Eugeni
Mario Paoli - Cartografia Luca Merelli - Ricerca storica e testi Ambra Famiani

La Brada Associazione Eventi in Maremma

Si ringraziano: Camera di Commercio di Grosseto - Provincia di Grosseto - Comune di Grosseto - Comune di scansano - Comune di Manciano - Associazione Nazionale Allevatori Cavallo Maremmano - Associazione Butteri della Maremma - ’ADS Cavallo Avventura - Tenuta il Prato - Silvia Germani Fattoria La Rocca delle Pigne - Mariarosa Poli Tenuta il Prato

Venerdi 5 luglio ore 9.00 partenza dalla Canonica di Roselle

Appena saliti in sella con i cavalli al passo sulle pendici collinari di Poggio Mosconcino, appaiono i resti della pieve di Santa Maria a Roselle, denominata anche La Canonica o "Castello del Vescovo di Roselle".

L'antica basilica paleocristiana risalente al periodo altomedievale, che divenne l'edificio religioso di riferimento per l'area compresa tra l'antica città di Roselle e il Tino di Moscona, l'insediamento fortificato situato alla sommità dell'omonimo poggio. Il fortilizio, racchiuso da un muro circolare, che appare alla destra tra le chiome degli olivi.
Un insediamento etrusco-romano, un'opera strategica, che fu dotata in epoca altomedievale di una possente cinta muraria in seguito delle ripetute invasioni barbariche a cui fu sottoposta la sottostante città di Roselle.

Scendendo verso la valle attraverso i campi che costeggiano le pendici dei colli che custodiscono la città etrusca di Roselle, difesa dalle mura ciclopiche, si incontra un fontanile per l'abbeverata.

Siamo a "La fonte a la valle". Ovvero sull'antica via che, passando per la località chiamata ancor oggi "Campo della Fonte", congiungeva la città etrusca e quella termale romana con la zona delle "Casette di Mota", sede oggi dell'Osservatorio Astronomico Comunale di Grosseto.
Da queste dolci alture scendiamo verso il fiume Ombrone, nei possedimenti dell'antico Castello di Istia verso il borgo di Arcille, il cui nome deriva dalle piccole fortificazioni "Arcillae", che si trovavano lungo la strada e sul fiume a difesa di viandanti in epoca romana.
Il guado ci impegna ed innervosisce i nostri cavalli, poi dopo tanta emozione, finalmente una sosta, un ristoro. Lasciamo le redini fino alle 15.00, per riprendere la strada sulle tracce del binario unico della vecchia ferrovia dell'Ansaldo, oggi dismessa.
La ferrovia Cana-Arcille-Rispescia a scartamento ridotto, costruita nel 1916, che serviva di collegamento con la linea tirrenica per il trasporto della lignite estratta dalle numerose miniere presenti nel territorio collinare compreso tra Cana e Baccinello, oggi diventa la nostra direttrice verde che percorriamo fino ad incontrare quella dell'antico acquedotto delle Arbure, che scende dalle sorgenti del Monte Amiata per rifornire il territorio grossetano.
Ci aspetta una lunga salita per arrivare a Poggio Pigna, dove potremo finalmente assaporare il meritato riposo davanti ad un bivacco notturno nella fattoria La Rocca delle Pigne.
Dall'antica fattoria è possibile ammirare una varietà infinita di paesaggi, dal profilo della Corsica via via sino ai contrafforti del Monte Aquilaia.
Mentre assistiamo ad un tramonto mozzafiato, uno dei cavalieri intanto ci racconta che quelle case che appaiono solitarie ed arroccate, sono quelle del paese di Cana, sorto in epoca medievale su una collina che domina in parte, la valle del torrente Trasubbie ed in parte la valle dell'Albegna.
Un castello controllato dagli Aldobrandeschi, dai Tolomei ed infine dai Medici, che hanno lasciato impronte indelebili delle loro signorie. Infatti, nel centro storico spicca la Rocca Aldobrandesca, antico castello medievale denominato anche Rocca al Cane, del quale rimangono alcuni tratti delle Mura, il Palazzo della Giustizia, la Casa del Gran Cane ed infine, la bella Cisterna Medicea realizzata agli inizi del '600 per raccoglieva l'acqua piovana da distribuire agli abitanti del paese.
Forse se ci alziamo presto domani mattina potremmo andare a vederlo, prima di riprendere la nostra via Clodia, però ancora dobbiamo sistemare i cavalli.

 

Sabato 6 luglio ore 9.00 partenza da Poggio Pigna

Svegli di buon mattino per accudire i nostri preziosi amici cavalli, montata la sella e stretti i sottopancia, siamo pronti per il secondo giorno di avventura su questa antica strada romana, che ci ha fatto scoprire scorci di Maremma solitari, incontaminati e sconosciuti.
Partiamo attraversando un susseguirsi di alture che svelano il paese di Baccinello, la località mineraria nota per il ritrovamento all'interno della vecchia miniera di lignite dell'ominide " Oreopithecus bambolii" e situata sulla sommità di una collina, appena al di sopra del paese, la fattoria del Baccinello.
Fiancheggiamo questa antica struttura possente, che sovrasta la vallata dalla quale si gode una straordinaria vista che spazia sulle colline maremmane fino alla costa.
Un'oasi di pace immersa nel verde, che ci fa quasi dimenticare tutta la polvere che dovremo affrontare durante la giornata.

 

Ma dobbiamo scendere in direzione del torrente Trasubbie, sulla strada Dogana detta anche la "strada dei minatori" che porta a Polveraia, la frazione nata come corte del Castello del Cotone.
Siamo nei pressi di in un'area naturale protetta, il biotopo compare, infatti, fra i Siti di interesse regionale, attualmente studiato in dettaglio sia per la componente vegetale che per quella animale.
Guadiamo l'alveo del torrente, ormai quasi in secca, gli schizzi ci rinfrescano rinfrancando anche le nostre cavalcature e ci sembra impossibile che questi sassi infuocati e il rigagnolo d'acqua possa gonfiarsi durante le piene al punto tale che, ricordandoci di quello che ci hanno narrato gli anziani, i minatori per attraversarlo dovevano usare alti trampoli.
Poca strada ci divide ora dal Castello del Cotone

dove potremo fare una sosta e riposare leggendo la storia e le leggende di questo antico maniero, i cui resti svettano su un'altura immersi nel verde della campagna circostante.
Edificato nel Trecento dalla famiglia signorile dei Cotoni, nel luogo in cui sorgeva fin dal 1277 la chiesa di San Venanzio, l’insediamento fortificato è racchiuso da una cinta muraria approssimativamente triangolare che abbraccia un’area di notevoli dimensioni.
Nel punto più alto della collina si trovava l’abitazione signorile e più in basso, gli edifici pubblici, civili, religiosi e le abitazioni.
Questo importante borgo fortificato ebbe, nella sua fase di massimo sviluppo, una popolazione complessiva di circa ottocento persone. Passato sotto la giurisdizione della Repubblica di Siena, il castello mantenne la sua funzione fino al 1592, quando venne quasi evacuato.
Il dominio senese si protrasse fino alla definitiva caduta della Repubblica nella seconda metà del Cinquecento, epoca in cui venne inglobato nel territorio del Granducato di Toscana.

Nella metà del Settecento si assisté al suo definitivo abbandono, con il trasferimento degli abitanti nella vicina località di Polveraia.
Tutto ciò ci raccontano le fonti storiche, ma la leggende?
La prima ci narra l’abbandono del Cotone avvenuta nel XVI secolo.
In seguito a comportamenti che stanno al di fuori della morale cristiana: si diceva, infatti, che gli abitanti praticassero il "ballo angelico" e altre attività indicibili insieme a tre streghe, fu inviato l’emissario del vescovo ad indagare sulla fondatezza dei sospetti, ma fu cacciato. Il vescovo decise, quindi, di intraprendere di persona l’impresa di riportare alla rettitudine quelle genti, ma gli abitanti del Cotone che non intendevano pentirsi, rinchiusero il vescovo in una botte e lo gettarono nel fiume.
La botte raggiunse il ponte di Istia, si incagliò contro l’arcata e come per incanto le campane cominciarono a suonare. Agli abitanti del borgo parve di sentire una voce che li chiamava a raccolta e corsero a recuperare il prelato ancora vivo, il quale inviò gli armigeri a bruciare le streghe e distruggere il Castello.
C’è un’altra leggenda legata alla distruzione del fortilizio.
Narravano gli abitanti di Polveraia che le anime dei soldati della cavalleria del Cotone non trovassero pace e che ogni cento anni nella vicine campagne si sentissero arrivare a cavallo. Si diceva, che si sentisse persino il rumore degli zoccoli e il fiato degli animali; le finestre tremavano, l’acqua nelle brocche sussultava e quando pareva che la cavalleria fosse proprio sotto casa, improvvisamente calava un silenzio di tomba. I vecchi dicevano che si trattava delle anime dei soldati condannati a tornare a cavalcare su quelle terre, per poi scomparire improvvisamente nella campagna illuminata dalla luna.
Sono ormai le 15.00, dobbiamo risalire in sella per un appuntamento da rispettare a Scansano.

Di nuovo a cavallo, si costeggiano le terre del Castello di Montepò fin sotto le sue torri angolari a sezione quadrata.


La struttura fortificata che ci appare, sorse intorno all'anno mille nelle vicinanze di un'antica pieve, ma fu interamente ricostruita in epoca trecentesca quando era controllata dai signori di Cotone.
Nel 1378 il castello passò sotto il dominio della Repubblica di Siena, poi venduto nel corso del secolo successivo alla nobile famiglia senese dei Sergardi.
La sua posizione decentrata e la scarsa necessità di essere impiegato in funzioni militari, ne accelerò la trasformazione in fattoria fortificata a controllo delle scorrerie che i razziatori ed i briganti operavano sul vasto territorio.
Nel' 500 il castello fu oggetto dell'intervento dell'architetto militare Baldassarre Peruzzi, che sostituì le merlature di torri e mura con gli attuali tetti, trasformando il complesso in una fattoria fortificata che si staglia sulle colline con la sua forma quadrilatera e i quattro torrioni angolari dal basamento a scarpa che in passato svolgevano funzione di avvistamento.
Passiamo vicino ai vigneti della fattoria, produttrice di eccellenti vini. Siamo ormai nel cuore delle terre del Morellino, un vino superbo nato al sole di queste colline. Un vino che gusteremo alla "bicchierata" nella piazza di Scansano.
Siamo quasi arrivati in vista del paese che si innalza a cavallo tra la valle dell'Ombrone e quella dell'Albegna.
Il borgo, di origini medievali, controllato dalla famiglia degli Aldobrandeschi fin dal 1200, venne ereditato dagli Sforza e agli inizi del '700 entrò a far parte del Granducato di Toscana, ma acquisì grande importanza su centri posti in pianura, quando fu elevato a "Vicecapoluogo" della provincia di Grosseto, durante l'esodo
dell'Estatatura dal 1780 al 1897.

Entriamo in paese, il rumore degli zoccoli sull'asfalto ci accompagna dopo ore di silenzi agresti, passiamo fra i palazzi signorili che si aprono sulla piazza dove ci attendono per una "bicchierata".
Sono già le 17.30, abbiamo poco tempo per poter gustare l'ottimo Morellino di Scansano, i cavalli sono stanchi e dobbiamo riprendere il cammino per Poggioferro.
Frazione, sorta come villaggio di pastori verso la fine del '500 accogliendo parte della popolazione del Castello del Cotone e gli immigrati del Casentino che in queste terre praticavano la transumanza.
Poggioferro è divisa in tre contrade storiche Cervaiolo, Pianello e Poggio, ma noi dobbiamo raggiungere la Tenuta il Prato, un angolo di terra incontaminata dove le mandrie pascolano e vivono liberamente tutto l'anno e antiche le tradizioni come la transumanza si conservano.
Immersi nel territorio collinare con pascoli interrotti da siepi e macchia, lanciamo i nostri cavalli al trotto per arrivare al più presto alla Tenuta, conosciuta da sempre per la sua acqua di sorgente dalle origini antiche che nasce sotto la grande quercia, dove raccontano gli anziani dl paese, si riunivano tutti insieme per prendere le decisioni più importanti e per avere l‘armonia e l'energia che solo l'acqua purissima e le querce secolari potevano dare.
Arriviamo, sperando di godere anche noi di questa energia, accolti da bovini e cavalli bradi e dalla cortesia del proprietario che ha allestito per noi un asado con cuero, ovvero un arrosto gaucho, del quale sentiamo già l'odore prima di smontare dalle nostre cavalcature.
Siamo stanchi, ma pronti per il bivacco notturno e per ritrovare il gusto delle cose genuine, lasciando che la notte rispetti i propri tempi.

Domenica 7 luglio ore 9.00 partenza dalla Tenuta il Prato

E' l'ultimo giorno della nostra lunga cavalcata sulle orme della storia, già circolano aneddoti e sfottò sui momenti passati insieme ed un po’ di malinconia serpeggia tra di noi, ma ci rimettiamo in marcia alla volta della nostra tappa finale, Saturnia.
Cavalchiamo fin sotto al borgo di Murci, posto su un'altura a sentinella di un paesaggio bellissimo.
Murci citata per la prima volta in alcuni documenti del X secolo, con il nome latino di “curtis Murcia” o talvolta “Mustia”, era alle dipendenze del vicino Castello di Cotone, i cui abitanti, una volta decaduto il castello, popolarono la frazione e altre dei dintorni, come Polveraia e Poggioferro, insieme ai fuggiaschi provenienti dalla vicina Saturnia, scampati agli attacchi di una spedizione punitiva senese
Nei pressi dell'abitato, sul crinale di una collina ventosa, attraversiamo il Parco eolico dei Poggi Alti, costituito da dieci aerogeneratori ubicati sull'omonimo crinale.

Scendiamo ora lungo una strada Dogana che ci condurrà fino a Saturnia.
La città termale è circondata da un’imponente cinta muraria, i cui tratti più antichi, in opera poligonale di terza maniera risalgono al III sec. a.C., quando Saturnia era ormai romana. Le numerose guerre, tuttavia le danneggiarono notevolmente, cosicchè Siena fu costretta a restaurarle, dotandole di merli.
Delle quattro porte esistenti, solo la Porta Romana concede l'accesso alla vecchia città e risale al periodo senese. Realizzata con materiali di recupero, fra i quali una lastra in travertino con iscrizioni latine, ci si apre davanti.
Siamo sulla Via Clodia, la strada basolata d’epoca romana, probabilmente realizzata su un precedente tracciato. Sembra che esistessero tracce di questo percorso anche in epoca etrusca che secondo alcuni studiosi, risalirebbe addirittura al III sec a.C..
E' davvero suggestivo pensare a quanti piedi, quanti zoccoli, quante ruote, nel corso dei secoli abbiano potuto camminare su questa strada, rimasta quasi intatta fino ad oggi.
Come scriveva George Dennis durante il suo viaggio in Etruria nel 1883: "Questi ruderi dell’arte e della natura……. Tripudiano in festa e dichiarano che non è possibile trovare soggetti più attraenti di pietra, di vegetazione, di rovine!”.

Larga 2,60 m. e delimitata da un cordolo laterale di 15 cm. di larghezza., iniziata nel III sec. a. C., venne ultimata nel II sec., quando fu dedotta la colonia di Saturnia, che ne costituisce il capolinea.
La via Clodia, antico anello di congiunzione fra la Via Aurelia e la Via Cassia, detta anche "via delle terme" per la sua posizione che passava dall'entroterra maremmano ricco di fonti termali naturali, fu utilizzata per lo scambio di merci con le colonie, noi con il nostro viaggio inaugurale vogliamo che possa nuovamente essere utilizzata come strada verde, da percorrere a piedi, a cavallo o in mountain bike.

Un’arteria che collegava la città con tutti i principali centri della costa e dell'interno, attraverso vie secondarie.
Tutte strade da riscoprire come il suo tracciato ancora discusso, ma che seguiremo nella nostra prossima tappa che porterà a Tuscania.

 

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