LA MONTAGNA RINASCE DONNA

Di RENZO M. GROSSELLI

Le trovi aggrappate alle prime pendici della montagna di Folgaria, a Mezzomonte. Un pugno di donne guidate da Elisabetta Monti che del "naturale", "biologico" e "piccolo" in agricoltura ha fatto una ragione di vita. Con un impegno ed una coerenza continui. E tenacia anche, visto che le autorità, comunali e provinciali, favoriscono nel bla bla bla le nuove iniziative agricole in montagna, ma storcono il naso quando si tratta di piccole aziende, piccole aree e filosofie ambientaliste. C'è il sole che batte sui terrazzamenti abbandonati di Mezzomonte, su questa montagna lasciata sola. Elisabetta e le sue ragazze, con qualche caduta fideistica, fanno la loro parte per ridarle vita.

Una agronoma in Africa Elisabetta Monti è una quarantenne di Rovereto. Dopo le scuole medie operò la sua prima originale scelta. "Mi volli iscrivere all'Istituto agrario di S.Michele. Mi pareva che solo il settore agricolo potesse offrirmi la possibilità di non lavorare al servizio di un certo sistema economico e politico. Volevo lavorare con la Natura". Perito agrario quindi e a 19 anni l' Africa, una organizzazione non governativa che portò la giovane trentina a combattere la sua battaglia in Somalia. Era il 1980, ci rimase due anni. Erano i tempi di Siad Barre, dell'asse con l'ltalia di Bettino Craxi e dello scialacquio di risorse destinate agli aiuti al Terzo Mondo. Era un progetto agricolo rivolto a creare autosufficienza per i rifugiati dell'Ogaden. Ma mi rendevo conto che non era quello il modo di rendere autosufficienti le persone, nè il modo di favorire lo sviluppo di quelle terre e quei popoli". Ancora studio allora, per questa donna volitiva, pugnace. Due anni in Toscana, a Firenze, all'Università di agricoltura tropicale. Un corso di selvicoltura per tornare in Africa con nuove armi di conoscenza.

E nel 1984 via per il Mali, sino a11986: riforestazione, lotta alla desertificazione. Con il risparmio della legna ma anche la didattica nelle scuole, nei villaggi. "Ero cambiata, cresciuta, maturata. Perché non provare a fare qualcosa anche in Italia? Mi ero resa conto che la sensibilizzazione era da fare qui, nel Primo Mondo: un quarto della popolazione mondiale consuma tre quarti delle risorse".

E a questo punto Elisabetta lascia andare una frase che è fatta di poesia: "Si può creare un po' di sobrietà anche da noi. Senza continuare all'infinito in questa corsa al consumo ed alla distruzione. Ma bisogna partire da noi stessi, non sentirsi impotenti e quindi deresponsabilizzati. lo decisi di lavorare su me stessa". Elisabetta Monti in Trentino lavorò al "Progettone" con il Consorzio "Territorio e Ambiente", per 5 anni. Poi iniziò a lavorare al suo "progettone". Trovò una baita sul territorio di F'olgaria, a Mezzomonte, e un pezzo di terra attorno. Iniziò a ristrutturare l'immobile. "L'idea iniziale era quella di raggiungere l'autosufficienza.

l'Adige mercoledi' 22 agosto 2001

RAGAZZE BIOLOGICHE
A FOLGARIA
La scommessa di Elisabetta Monti: salviamo la montagna anche con le piccole aziende che rispettano l'ambiente
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Un poco alla volta, senza fanatismi". Prima di tutto l'orto poi, nel 1994 la prima capra per il latte, quindi l'acquisto di un altro pezzo di terra, ai confini, con un altro paio di baite diroccate. E nel correre del tempo Elisabetta ebbe modo di mettere in questo mondo un paio di bellissimi bambini (uno per sorte) che oggi hanno 8 e 5 anni. "II primo lavoro fu quello di recupero di quelle aree agricole, abbandonate da decenni. Spingendo sul Comune abbiamo chiesto un contributo provinciale per il recupero di aree foraggere". Ma la cosa non si dimostrò facile. Da subito. "Su questo terreno si trovano tutte le porte sbarrate: Comuni, Provincia. Devi insistere, battagliare". Nel 1996 Elisabetta fece sue altre capre, poi alcune pecore. "Servivano anche in qualità di decespugliatori". Nel 1998 la donna chiese il contributo provinciale di primo insediamento (si era iscritta all'Albo degli imprenditori agricoli a tempo parziale). Le assegnarono i 25 milioni di lire ( oggi sono circa 45) ma l'impegno era quello del tempo pieno in agricoltura. "Si può reiventare un mondo pulito, in termini etici ma anche chimici, di fare agricoltura in montagna. Solo che... All'inizio leggevo gli articoli di legge e pensavo che li avessero pensati proprio sulla mia misura. Invece, strade sbarrate, Comune, uffici agricoli, la Pat. O sono fessi o sono in malafede. Io di famiglie che vorrebbero rimettersi in agricoltura, con piccoli progetti come questo, ne conosco. E terreni e stabili abbandonati in montagna ce ne sono a bizzeffe. Perché non aiutare questa gente?". Per iniziare a fare quel po' di reddito, indispensabile, Elisabetta si rivolse a certe nicchie di mercato: piantò 800 piante di ribes nero. Poi 40 alberi di amarena, quindi 100 noccioli. "Mai chimica, tutto biologico ed anzi cercando di eliminare ogni tipo di trattamento". Nel 1995 la donna roveretana iniziò anche la raccolta di fiori selvatici per preparare i "fiori di Bach", unica in Trentino, uno dei pochi produttori in Italia. Ma intanto I'agronoma continuava con le prove di coltivazioni di piante, di allevamento di animali. "Per cercare di chiudere il cerchio: hai il letame per gli animali, pulisci i prati e il bosco, produci ciò di cui necessiti. Così comprai la mucca e durante l'ultimo inverno abbiamo fatto anche formaggio e yogurt". Ma come fai, scusa, a combattere certe malattie delle piante se non usi nulla di chimico? "Per i pidocchi uso il macerato d'ortica, per due anni ho fatto uso di preparati biodinamici. Poi le acque mariane unite ai fiori di Bach...". Cosa cosa? "Enza Ciccolo ha scritto un libro, "Acque di luce", in cui riporta i suoi esperimenti scientifici che dimostrano le proprietà particolari delle acque di certe località, come Medjiugorie, Lourdes. Hanno una particolare energia...". In certe frange ambientaliste, pur accanitamente e positivamente ingaggiate nella lotta per la salvezza della natura, certi scivoloni fideistici non sono rari. I giapponesi a Mezzomonte Ma come guadagni i soldini che servono ai tuoi investimenti, Elisabetta? "Ora sto investendo ancora i miei risparmi. Ma da qualche tempo certi ritorni già si sono concretizzati. Il prossimo progetto è quello di disporre di alcune stanze e di una struttura che possa valere per incontri ed attività didattiche, gruppi di bambini ed adulti. Qualcosa la sto già facendo ma non esiste una legge provinciale che mi agevoli. La mentalità è quella di favorire l'agricoltore con grande stalla, o grande monocultura. Quando metti piede negli uffici e parli di realtà come la mia, ridono". Non è sola Elisabetta, con i suoi bambini. Con lei c'è sempre qualcuno che l'aiuta. Sul posto noi incontriamo due ragazze straniere che le stando dando una mano. "Si tratta dell'organizzazione "Wwoof", Lavoratori volontari in aziende biologiche; ragazzi e ragazze di tutto il mondo che vogliono essere chiamati a dare una mano in aziende che lavorano col biologico, come ragazzi alla pari. Fino a ieri io avevo con me una coppia di giapponesi che si è fermata per 20 giorni. Ma ci sono persone che stanno qui 2-3 mesi. Un utilissimo aiuto per noi e una grande esperienza per loro. Sai che i bambini giapponesi delle città, si è scoperto che non sanno nemmeno se le galline hanno due o quattro zampe?". A noi ospiti, Elisabetta e le sue ragazze offrono prugne; maledettamente brutte a vedersi, picchiettate, bitorzolute. E maledettamente buone, senza controindicazioni. Da tre anni da questa piccola azienda di Mezzomonte, parte anche verdura biologica per i mercati e le fiere trentine. "E vendo anche i fiori di Bach. Si tratta di 38 estratti floreali che aiutano a ripristinare l'equilibrio di una persona a livello fisico e psichico. Li vendo direttamente qui perché se passo per le erboristerie mi trattengono il 50% del prezzo. Poi, da quest'anno, vendo le mie marmellate di ribes nero e ribes nero con more. Me le confeziona il Cappelletti di vaI di Gresta. C'è dell'altro. Tramite il Progetto Leader e il Comune di Folgaria ho iniziato la coltivazione di piante officinali. Siamo in cinque produttori in zona ed abbiamo creato una associazione. Si tratta di erbe non essiccate tramite il calore, ma con un deumidificatore. Rimangono anche i colori delle piante". Laboratorio e didattica Il prossimo passo dell'azienda agricola Monti di Mezzomonte sarà la ristrutturazione di un rudere: "Voglio farci un laboratorio, per elaborare i miei prodotti. Ma in Trentino è difficile perché ti permettono di usarlo (al contrario del Piemonte, ad esempio) solo per un tipo di prodotto. Ma io faccio formaggio, il dado vegetale, il pane etc. Stiamo tentando di trovare una via ed anche in questo caso abbiamo fondato una associazione, "Mosaico". Siamo piccoli produttori e con una certo tipo di etica. Ci batteremo". E quando dice così c'è da crederle. Perché, a quanto pare di capire, Elisabetta è abituata alla battaglia, alla vita dura. "Se la strada fosse percorribile - dice - un certo numero di persone potrebbe entrare in questo settore. Col risultato di rioccupare certe aree montane e dare al mercato prodotti sani. Del resto, se 100 o 500 persone potessero farlo, non intaccherebbero certo la grossa produzione, quella delle cooperative ad esempio. E, anzi, offrirebbero nuove possibilità ad un turismo ambientalista ed ecologico che è sempre più forte in Europa". Facile no? "No! Da vent'anni da noi si parla di agricoltura di montagna: ma questa va sempre più a scomparire. Perché con queste normative provinciali è pressoché obbligatorio che una o due persone in famiglia lavorino fuori dall'azienda. C'è qualcosa di malsano in ciò, che non permette alla gente di rimanere in montagna". Un discorso intelligente, una rabbia propositiva che i pubblici poteri potrebbero intendere con intelligenza. Magari lasciando nelle acquasantiere le acque mariane.

di LAURA ZANETTI|

Nel già lontano 1989, il ricercatore tedesco Manfred Hofmann, approdato a Trento per quel rigoroso e propositivo Convegno "Salute-Ambiente-Agricoltura: una politica per il futuro", rivolgendosi ai politici trentini aveva concluso così il suo intervento: "Sappiate leggere nel libro della natura, abbiamo ancora del tempo utile per cambiare rotta prima che il degrado sia irreversibile", e ai giovani pionieri della bio-agricoltura : "Reagite alle convenienze arroganti, abbiate la forza di non credere a chi vuole scoraggiarvi perché, prima o poi, la vostra sarà una strada obbligata". Gli aveva fatto eco l'economista Othmar Selbert: "Vi è in area alpina la necessità di passare da una coltura intensiva a quella estensiva differenziata, legando la politica dei redditi non al mercato ma al ruolo complessivo dell'agricoltore di montagna, che produce, conserva, tramanda Premiando chi opera ecologicamente, tassando chi opera intensivamente". Sull'esempio della civilissima Danimarca. E Herwing Van Staa, docente all'Università di Innsbruck, riportando la sua esperienza sul fronte politico: "Ci deridevano, io stesso ebbi grosse difficoltà dentro il partito. Oggi sono il responsabile della politica agraria del Tirolo". Il suo segreto? Essere riuscito a sensibilizzare la base, cioè gli agricoltori, con un progetto agricolo che privilegiasse non più la produttività, giustificata nel dopoguerra quando scarseggiava il cibo, ma la, salute degli alimenti, quindi del contadino, del consumatore, dell'ambiente. Il concertato assalto alle biodiversità della vita, racchiuso in quel termine ambiguo che è la biotecnologia, era ancora lontano, ma già imperversava nell'agricoltura trentina quel criterio "fabbrichistico", che non consente di pianificare - entro certi limiti - le produzioni, in cui viene sempre meno il rapporto tra lavoratore e terra, connaturato nell'attività agricola. Non rispettando, soprattutto, quello che Ignazio Musu, l'accademico di Economia politica all'Università Ca' Foscari, nel suo bel saggio "Una politica per l'Ambiente" (Il Mulino) ha definito: "La dimensione intergenerazionale di equità, la necessità cioè di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future a soddisfare i propri". La domanda allora è: potrà ancora la terra alpina essere elemento fondamentale in unità con l'uomo e con lui protagonista? E ancora: perché troppo spesso il sentimento della storia del passato è vissuto come fatto antistorico e non come esperienza attraverso la quale configurare, in virtù delle acquisite conoscenze e delle sue "magnifiche sorti", i nuovi rapporti con la terra? Le crisi, si è detto, sono comunque salutari, perché rafforzano le motivazioni dell'agire, rendono ragione all'impegno profuso. Ecologia rurale quindi, come economia del futuro? Quassù, sotto lo splendido anfiteatro di Folgaria, meritevole di un brevetto culturale, un bosco ceduo che sa di Provenza, raccoglie due case di pietra ancora in gestazione, una parola: marginalità, nella sua accezione più positiva. Una natura incontaminata che può chiamarsi nocciolo, ribes, fiore ed ortaggio, capra e mucca, ma sopratutto anima del sentire "originario", conoscenza sostenuta dall'attenzione. L'attenzione di una donna Elisabetta Monti, ultima Sibilla alpina, che ha scelto di non essere più "esterna" ad una natura da dominare, ma "interna" ad essa e alla sua sacralità.